Il termine digiuno indica una condizione di privazione degli alimenti; tale privazione può essere volontaria oppure imposta.
Va premesso un digiuno di poche ore è da considerarsi fisiologico; è infatti usuale, nella vita di qualsiasi soggetto sano, non assumere cibo per alcune ore (generalmente 4 o 5 o di più se non si fa alcun tipo di spuntino) dopo uno dei pasti principali; è ovviamente fisiologico anche il digiuno conseguente al normale riposo notturno.
Essenzialmente, il digiuno può essere distinto a seconda della sua durata; generalmente si considerano quattro fasi: fase del post-assorbimento, digiuno di breve durata, digiuno di media durata, digiuno di lunga durata.
La fase del post-assorbimento è quella che insorge una volta che i cibi che sono stati assunti nel pasto sono stati del tutto assorbiti dall’intestino tenue (per inciso: il secondo tratto dell’intestino tenue viene detto “digiuno”). La fase in questione ha una durata di circa 4-5 ore dopodiché, generalmente, si assume altro cibo interrompendo conseguentemente lo stato di digiuno. Durante la fase del post-assorbimento si ha, nel soggetto normale, un calo dei livelli di glucosio nel sangue (abbassamento della glicemia); l’organismo “reagisce” a questa riduzione con un processo noto come glicogenolisi epatica (degradazione di molecole di glicogeno fino a ottenere la formazione di glucosio), necessario sia per il mantenimento di adeguati livelli glicemici sia per rifornire di glucosio gli altri tessuti dell’organismo.
Nel digiuno di breve durata, quantificabile in un giorno di digiuno, le esigenze metaboliche dell’organismo sono sostenute, oltre che dalla glicogenolisi epatica, anche dall’ossidazione dei trigliceridi; il glicogeno contenuto nel fegato, infatti, è piuttosto limitato ed è quindi necessario che l’organismo ricorra, al fine di risparmiare glucosio (destinato soprattutto al cervello e ai globuli rossi), agli acidi grassi.
In seguito l’organismo ricorre a un processo metabolico noto come gluconeogenesi; attraverso questo processo il glucosio viene sintetizzato utilizzando precursori non glicidici (aminoacidi, glicerolo, acido lattico, piruvato ecc.).
La gluconeogenesi (anche neoglucogenesi) ha come scopo primario quello di contribuire al mantenimento costante della concentrazione ematica di glucosio.
Oltrepassate le 24 ore di digiuno, si passa nella fase del digiuno di media durata; durante questa fase si assiste a un’accentuazione piuttosto marcata ad andamento progressivo del processo di gluconeogenesi. Gli aminoacidi che vengono sfruttati per questo processo sono quelli derivanti dalla degradazione delle proteine contenute nei tessuti muscolari (nell’organismo umano non sono presenti depositi di proteine utilizzabili per fini energetici); di fatto, si assiste a quella che un po’ pittorescamente viene definita come “cannibalizzazione” dei muscoli con conseguente diminuzione della massa muscolare. Inevitabile la comparsa di sintomi come debolezza, stanchezza e apatia.
Il processo di gluconeogenesi tende, con il tempo, a perdere efficacia, tanto che il rifornimento di glucosio al cervello è sottodimensionato; diventa quindi necessario il ricorso ai corpi chetonici (acetone, aceto acetato e 3-Β-idrossi-butirrato); questi derivano dal metabolismo dei lipidi; in assenza di zuccheri, infatti, i lipidi non possono essere utilizzati ai fini energetici e l’organismo è costretti a trasformarli in corpi chetonici, sostanze che hanno determinate caratteristiche che li rendono simili agli zuccheri, in primis la loro notevole velocità di immissione e la rapidità di utilizzo.
La chetosi ha come effetto positivo l’allungamento della sopravvivenza dell’organismo, ma gli “effetti collaterali” non mancano, basti citare il considerevole incremento dell’acidità ematica e il superlavoro cui vengono sottoposti due importanti organi come reni e fegato per smaltire i corpi chetonici in eccesso.
Man mano che il digiuno perdura, i vari tessuti, per risparmiare il più possibile il glucosio, sono sempre costretti a ricorrere sempre più all’ossidazione lipidica.
Trascorso il ventiquattresimo giorno di digiuno si passa all’ultima fase, quella del digiuno prolungato; senza un intervento il soggetto è destinato a morire nel giro di brevissimo tempo. L’organismo, infatti, ha sfruttato tutte le risorse che il fegato e il sangue gli mettevano a disposizione e il decesso arriva come conseguenza di difficoltà respiratorie, disidratazione e abbattimento delle difese immunitarie. Come detto, un essere umano può sopravvivere a un mese circa di digiuno, anche se sono stati documentati casi di digiuni più lunghi.
martedì 5 aprile 2016
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